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| "Care" di Lena Devlen (termini d'uso) |
“È il momento in cui le madri devono tenere d’occhio le figlie ed esortarle a restare sul sentiero della virtù”. (Emma Smith)
Come madre, la donna ha un compito molto speciale e impegnativo da svolgere, in particolare con la propria figlia. La moderna società fa abbondante sfoggio di modelli femminili distorti che, presentati come icone della femminilità, alla lunga si insinuano nell’immaginario delle giovani donne aizzando in loro un forte desiderio di emulazione e condizionandone le scelte di vita a vari livelli.
La castità delle giovani oggi è un principio obsoleto del cui valore non si fa mai menzione perché motivo di derisione. Sempre più ragazze fanno coincidere i loro standard morali con la trasgressione; sempre più ragazze non fanno alcuna fatica a concedersi rapporti promiscui, anche con il primo arrivato, con uno sconosciuto, e lo fanno per vari motivi, per rancore verso la famiglia, per riscattare la loro condizione di minorenni e sentirsi grandi, per ribellarsi alle regole in generale.
Nei loro atteggiamenti questo ha i suoi sintomi nella mancanza di rispetto per gli altri, in particolare per le persone adulte, nell’uso di un linguaggio volgare, nella scelta di un abbigliamento imbarazzante, nel trucco violento, nelle maniere saccenti o provocanti. Sfidano continuamente situazioni di rischio fino a quando un giorno qualcuno le prende sulla parola e le porta a vivere un’esperienza devastante, dalla quale in molte non hanno ritorno.
Il punto di forza e di annientamento di un tale urgente pericolo nasce dall’esempio. Un precocissimo buon esempio. La madre è soprattutto questo. Se una madre è soddisfatta della sua vita sarà più facile agire positivamente sulla formazione della figlia; sarà più facile accoglierla serenamente senza recriminarle nulla. Avrà una disposizione maggiore a render- le la vita il più possibile sana e felice, poiché spronerà e amerà la sua retta libertà, la sua crescita nelle scelte, nelle responsabilità che si affacciano davanti a lei. Il rapporto madre figlia è molto delicato poiché da esso nasce la disposizione al bene o al male. La madre non si dedicherà mai a lei in modo tirannico, sopraffatta dall’ansia di covarla per sempre, non la ostacolerà nel fare i suoi passi da sola, non trasmetterà mai il tabù- risentimento dell’essere nata sfortunatamente donna, vagheggiando intimamente di vederla agire come un uomo. Non penserà di riscattare se stessa attraverso la sua affermazione di carriera, così come non la scoraggerà ad affrontare il successo perché secondo lei non fa parte della sua sorte femminile e perché questo, se si realizzasse, la smentirebbe spudoratamente come madre e distruggerebbe ogni sua speranza di esercita- re autorità.
Le madri inasprite, infelici e insoddisfatte accusano spesso le figlie di averle abbandonate, lasciate indietro. Una figlia non deve sentire di essere perseguitata da un destino di sconfitta che le toglie il respiro e il coraggio della sfida ancor prima di cominciare. La maternità non è un rimedio a qualcosa di intimamente profondo che non c’è, come il senso sacro della vita che non sia già radicato dentro se stessi. Non è un simulacro della solitudine o di un amore fallito. La maternità completa quella sacralità solo se è sinceramente e liberamente voluta, solo se la fibra emotiva della donna è intatta, non indebolita da malinconie profonde e nevrosi, ma se si alimenta di costante equilibrio, di salute e consapevolezza delle responsabilità. Con grande dolore, rispetto e discrezione, in questi casi problematici e rischiosi, dopo aver tentato ogni possibile recupero, non si dovrebbe incoraggiare la maternità per non rendere infelici né la donna né il bambino.
La maternità, come anche e soprattutto il matrimonio prima di essa, sono un’unione di forze e non di debolezze dove uno prosciuga l’altro delle sue energie senza rialimentarle. I rapporti gloriosi insegnati da Dio agli uomini si basano sull’impegno di rendersi vicendevolmente felici. E una madre che assume il privilegio di mettere al mondo un figlio deve sapere che quello è il suo fine supremo, il quale tuttavia non esclude, ma include, per potersi arricchire, il conse- guimento di altre affermazioni di talento e di valore personale. Una donna vincente nell’esperienza della sua maternità è la dimostrazione evidente della straordinaria capacità che essa possiede nell’esercitare la sua influenza formativa anche nella società. In questo modo la donna-moglie-madre- ha un background di competenze enorme da poter utilizzare a più livelli di convivenza familiare, sociale e spirituale.
Qui trova conferma la smentita definitiva che una donna sia in qualche modo un essere inferiore all’uomo, poiché sarebbe profondamente illogico e insensato negarle, per supposta incapacità o inferiorità, attitudini intellettuali da esplicare in attività lavorative di svariato genere nella società e affidarle poi il compito, il più complesso in assoluto, di formare, educare, ovvero costruire le solide basi, quelle determinanti, per il futuro di un essere umano.
Il senso e la condizione di inferiorità che la donna ha subito per secoli si è alimentato a forza di delegare altri alla cura e alla giustificazione della propria vita, senza di fatto agire di persona e determinare responsabilmente il corso delle proprie scelte. Ed è questa la donna che, non annoiando tutti con le sue lamentele, non adagiandosi a recitare una parte eternamente tragica, non scaricando colpe e responsabilità sugli altri, ma prendendo parte alla vita attiva agendo di persona, offrirà di più alla sua maternità alla quale riserverà conoscenza e valori reali acquisiti sul campo. L’impegno domestico non è in contrasto con la vita sociale quando all’interno della famiglia si condividono le stesse mete di progresso spirituale e non esistono né padroni, né schiavi, ma creature sintonizzate ad un’unica fonte alimentatrice che è quella della conoscenza della verità e dell’amore.
Per evitare il cancro del senso di inferiorità è necessario riappropriarsi della consapevolezza del proprio ruolo essenziale e rimuovere del tutto la paura di agire, la sola che può trasformarsi in effettiva impotenza.
Madri e figlie: una eredità positiva, di Paola Bidinelli
(dal saggio: La chiamata di Eva, il ruolo divino della donna)
Paola Bidinelli. "Alla base del mio essere scrittrice c'è il valore centrale della famiglia da cui traggo costante ispirazione e motivazione. Senza di essa il mio talento e la mia missione non sarebbero veramente completi. Credo nella responsabilità etica dello scrittore e di ciò che comunica con un libro. Amo viaggiare perché mi arricchisce e sono grata per questa possibilità." Potete trovare i suoi progetti sulla pagina facebook “I percorsi delle mani” e su www.artsofgospel.com.


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