lunedì 4 agosto 2014

Se si dimentica l'importanza del papà

"Trust" di Sara von Salis (termini d'uso)

La società dei consumi pone un grande accento sulla soddisfazione dei bisogni materiali, necessari o no che siano. 

Dal punto di vista dello sviluppo psicologico e fisico, nella crescita del bambino, la soddisfazione dei bisogni materiali immediati del neonato spetta alla madre. E´ alla madre che si dedicano quindi le attenzioni della società, pubblicità, istituzioni, quando si parla di famiglia.

In tutto ciò viene drammaticamente trascurata la figura del padre, che nelle culture tradizionali riveste invece un ruolo rilevantissimo nel percorso di crescita e maturazione dei figli, nell'abbandono della culla materna verso la conquista dell´autonomia e della sicurezza del giovane nel mondo. Evidente in questo senso anche l'ideologico pregiudizio di quasi tutti i magistrati dei tribunali dei minori, i quali in una maggioranza amplissima dei casi di separazione affidano i figli alla madre. Anche quando altre considerazioni farebbero pensare ad una scelta differente o di maggiore condivisione fra i genitori del compito educativo. Nelle famiglie unite, invece, si presenta talvolta l'errata convinzione che, mentre al padre spetta principalmente il lavoro fuori casa e quindi la gestione finanziaria della famiglia, sia alla madre che spetta di diritto la voce principale in fatto di educazione dei figli, anche quando i figli siano ormai bambini cresciuti, adolescenti, ragazzi. L'assenza o l'irrilevanza del padre nel contesto educativo famigliare può facilmente provocare la crescita di figli con minori sicurezze, immaturità, problemi di integrazione psicologica, e così via.

Da quando esiste l'uomo sulla Terra è fondamentalmente alle figure educative maschili che spetta accompagnare i ragazzi a scoprire il mondo, con i suoi ostacoli e sfide. Ciò è valido fin dall'infanzia e diventa rilevantissimo durante l'adolescenza dei figli, periodo in cui i ragazzi debbono maturare il passaggio all'età adulta, da un lato tramite la contrapposizione al mondo dei genitori, d'altro canto attraverso i princìpi dai genitori trasmessi.

I giovani rimangono sempre più spesso inclusi in un mondo privato (o quasi) dell'apporto educativo maschile. Ma un giovane che non abbia reciso (o a cui non sia stato reciso) il cordone ombelicale dalla madre, che in qualche modo viva ancora immaturo (significativamente inquietante per esempio la tendenza odierna a chiamare “ragazzi” robusti trentenni o persino donne e uomini oltre i quarant'anni), che attenda di vedere soddisfatte – come nel rapporto materno – le sue esigenze materiali e affettive con facilità e prontezza, sarà poi un adulto con rischi di disadattamento, probabilmente triste o persino depresso. Semplicemente: la vita adulta non funziona come il rapporto madre/figlio negli anni della dipendenza dai genitori. Questo aspetto così rilevante della realtà - il fatto di dover faticare per ottenere - deve venire in qualche modo trasmesso dai padri. Altrimenti, sullo sfondo, l'adulto rimasto bambino cercherà rifugio in altre forme di dipendenza psicologica e/o fisica.


Michele Invernizzi. "Sono nato nel 1983 a Trieste, dottore di ricerca in Filosofia delle Scienze Sociali e Comunicazione Simbolica, Universita` degli Studi dell´Insubria. Le vicissitudini personali mi hanno portato a svolgere diversi lavori di diversissima natura. Sono sposato e ho una bambina che si chiama Sofia."

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